Siamo quei giovani che amano e vivono la propria città. Siamo quelle che studiano, quelli che lavorano o quelle che vorrebbero lavorare. Ma siamo anche quelli sfruttati, siamo quelle non riconosciute, siamo quelli discriminati. Siamo quelli che nonostante i titoli di studio si sono visti sgretolare davanti ogni strada.
In questa situazione già difficile la pandemia ha travolto le nostre vite, lasciandoci inermi davanti ad un nemico che non eravamo neanche in grado di vedere.
Ma sai come si dice, “non tutto il male vien per nuocere”.
Grazie a ciò che è successo ci siamo accorti che era proprio la normalità il vero problema. Una normalità dove la vita diventa sempre più cara, fatta di bollette alle stelle, in un mondo sempre più a misura di pochi, dove siamo spesso costretti a rinunciare ai nostri sogni e alle nostre ambizioni. Una normalità dove tutto è troppo: troppo stress, troppe ansie, troppe aspettative, ma anche troppe periferie abbandonate, troppo consumo di suolo e troppo inquinamento.
Abbiamo bisogno di parlare con i tuoi quartieri: da quelli invivibili per il traffico a quelli invisibili e dimenticati. Di quello che è stato promesso e che mai è stato fatto, da quindici anni di vuoto politico stagnante; dobbiamo parlare di occasioni sprecate, di cantieri sospesi e di progetti mai iniziati.
Dobbiamo parlare del malaffare diffuso, delle sterili battaglie ideologiche che hanno rinchiuso la città tra le sue mura medievali.
Dobbiamo ascoltare ogni cittadino deluso, insoddisfatto, lasciato a sé stesso; dobbiamo ascoltare chi non si sente più rappresentato, chi è stato abbandonato e lasciato in disparte.
Dobbiamo parlare seriamente di futuro, perché si parla spesso “di giovani” ma mai “con i giovani”. Quante volte abbiamo sentito la famosa frase “il futuro appartiene ai giovani”, per poi vederci sminuti, sviliti e sfruttati, coi sogni che si sgretolano sotto gli anni di lavoro nero o sottopagati. Veniamo tacciati di svogliatezza, di immaturità, di non agire abbastanza per la nostra comunità.
Eppure proprio la pandemia ci ha dimostrato come l’immobilismo non ci appartiene: come quando abbiamo consegnato la spesa a chi non poteva uscire di casa, quando abbiamo ripulito le tue strade dopo l’alluvione, o tutte le volte in cui eravamo in prima fila per affrontare le difficoltà. Verona, tu ti sei accorta che ci siamo, ma la tua amministrazione no. Non supporta, non investe, non sostiene, non crea.
Cara Verona, manca poco all’appuntamento che potrebbe cambiare le tue sorti, la primavera non è lontana.
Vogliamo lanciare una sfida alla politica.
Il sindaco ideale deve saper creare, studiare, immaginare e costruire. Lo abbiamo cercato in lungo e in largo, siamo passati in ogni quartiere e alla fine ce lo siamo ritrovati davanti, in Via Cappello 43.
Chi meglio di un simbolo, una rappresentazione che spinga tutti noi a trovare una comunità per la quale impegnarsi e lottare: chi meglio di Emilio Salgari?
Chi meglio di qualcuno che, come noi durante la pandemia, restando nella sua stanza
ha saputo immaginare nuovi mondi e nuove visioni.
Chiusi in casa come Salgari anche noi abbiamo iniziato a scrivere la storia che vogliamo per la nostra città.
Ora dai Verona, voltiamo pagina.